L'EUROPA AL BIVIO DEL SUO DESTINO
Mancano ormai solo 45 giorni al 9 giugno quando gli italiani, insieme a oltre 400 milioni di europei, saranno chiamati a eleggere il nuovo Parlamento europeo.
Un elezione molto diversa da tutte le precedenti elezioni europee, dove non era in discussione il valore della integrazione europea e tutte le forze politiche - di sinistra, di centro, di destra - pur con accenti diversi si dichiaravano europeiste. Questa volta non sarà così. Al voto oggi si presentano in tutti i Paesi forze dichiaratamente antieuropee che puntano a destrutturare l'Unione europea e le politiche di integrazione. E i sondaggi dicono che la loro attrattività elettorale non è marginale.
In gioco c'è la sopravvivenza stessa dell'Unione europea. E per scongiurare il pericolo di una deriva neo-nazionalista è indispensabile un progetto di respiro morale e politico che - dopo l'Europa dei Padri fondatori e l'Europa dell'euro - inauguri una "terza fase" dell'integrazione europea.
Per decenni la UE è stata nel mondo il punto più avanzato di integrazione sovranazionale. Unico continente a dotarsi di una moneta unica, di un mercato unico, di uno spazio unico di libera circolazione. E che persegue politiche di integrazione in ogni campo, anche in quelli più sensibili come la difesa, la politica estera, l'immigrazione. Una integrazione che ha assicurato ai cittadini europei benefici che nessuna nazione da sola avrebbe realizzato.
Ma tutto questo per decenni si è realizzato in uno scenario in cui l'Occidente euroatlantico era il centro del mondo e i paesi europei potevano perseguire le loro politiche comuni senza dover fare i conti con ciò che accadeva altrove. La Cina, l'India, il Brasile, il Sud-Africa, il Messico, la Corea del Sud e tanti altri non incidevano sulle dinamiche globali. La Russia - o meglio l'Unione Sovietica - stava nell'altro campo e comunque non era in grado di ostacolare le politiche dell'Occidente. Europa e Stati Uniti potevano muoversi e agire a loro discrezione. E l'Europa poteva crescere e integrarsi grazie al fatto che gli Stati Uniti ne garantivano la sicurezza, la Russia gli approvvigionamenti energetici, la Cina e i paesi emergenti i mercati.
Quel mondo sta alle nostre spalle. La globalizzazione ha accresciuto tutti i fattori di interdipendenza e non consente a nessuno di agire solo sulla base delle proprie autonome decisioni. L'Unione europea è chiamata a competere ogni giorno in un mondo grande e con nazioni grandi e piccole che non accettano alcuna forma di subalternità o sudditanza. La Cina persegue l'obiettivo di essere nel 2049 - centenario della lunga marcia di Mao - la prima potenza del mondo globale. I Brics - Brasile, Russia, India, Cina, Sud-Africa - tendono a costituirsi come un centro politico che riequilibri e contenga l'egemonia euroatlantica. La Russia coltiva l'obiettivo di tornare a essere player mondiale e per conseguire questo obiettivo non ha esitato a invadere l'Ucraina scatenando una guerra che ha dissestato il sistema di concertazione multilaterale con cui si è governato il mondo dopo la caduta del muro di Berlino. Il mondo islamico - pur non omogeneo - aspira a far pesare la voce di 2 miliardi di musulmani. E cresce il numero dei Paesi - dalla Turchia all'Iran, dall'Egitto alla Nigeria, dall'Indonesia al Vietnam, dal Messico al Cile - che coltivano l'ambizione di essere potenze regionali. E in tale scenario le istituzioni internazionali, a partire dalle Nazioni Unite, appaiono paralizzate dalle contrapposizioni tra i suoi Stati membri.
Viviamo insomma una condizione di "anarchia internazionale" nel momento in cui il mondo è investito da sfide - il cambiamento climatico, le migrazioni, le frontiere inedite dell'intelligenza artificiale - che tutte chiedono risposte globali. E anche l'Europa è chiamata a ridefinire politiche e strumenti per essere all'altezza di quelle sfide. Integrare gli asset tecnologici e produttivi in settori strategici, armonizzare i sistemi fiscali, realizzare un Unione energetica per la transizione ecologica, dare corpo e solidità a una politica estera europea spesso fragile, dotarsi di un proprio sistema di sicurezza e difesa di fronte alle crescenti insidie alla pace e alla stabilità internazionale: sono scelte ineludibili da cui dipende il destino dell'Europa, se riconosciuto protagonista o se comprimario.
Scelte che investono pienamente anche l'Italia. Con un debito pubblico che sfiora il 140% del Pil; con un sistema industriale che vive di esportazioni e relazioni con i mercati di ogni continente; con deficit infrastrutturali che rendono il Paese più fragile e meno competitivo; con una dinamica demografica negativa che di qui a fine secolo vedrà l'Italia perdere 7 milioni di abitanti, il nostro Paese ha un bisogno vitale di un'Europa integrata e coesa a cui agganciare le riforme necessarie per restituire agli italiani sicurezze di lavoro, crescita economica, progresso sociale, tutela di diritti.
Insomma l'Europa è a un bivio decisivo: realizzare un coraggioso salto in avanti della sua integrazione o regredire a somma di nazioni chiuse nei propri confini.
I testi che qui pubblichiamo di Mario Draghi, Enrico Letta, Luca Jahier, Sergio Fabbrini, Marco Buti e Marcello Messori sono un prezioso "feuille de route" per affrontare nel modo più efficace e utile il prossimo appuntamento elettorale europeo.
 

Piero Fassino
24 aprile 2024