UN'EUROPA SICURA: UNA NECESSITÀ, NON UN'OPZIONE
Ha infiammato il dibattito sia tra i partiti, sia nell'opinione pubblica la proposta di dotare l'Unione europea di un proprio sistema di difesa e sicurezza.
Ogniqualvolta si evoca la parola "armi", immediatamente scattano reazioni di rigetto. Lo si può naturalmente comprendere in un continente segnato nella sua memoria collettiva da secoli di conflitti armati e da due guerre mondiali in trent'anni. L'integrazione europea nacque, infatti, all'indomani della seconda guerra mondiale come un progetto di pace per unire in un comune destino popoli e nazioni che per secoli si erano combattuti aspramente. Un progetto che per più di 70 anni ha consentito all'Unione europea di non conoscere guerre. E gli aspri conflitti suscitati in territori esterni alla UE - Caucaso, Balcani, Mediterraneo - sono la prova di quanto l'integrazione sia stata vettore di pace per l'Europa.
Tuttavia quel lunghissimo periodo di pace ha indotto a ritenere che non fosse più necessario per la UE occuparsi di difesa e sicurezza, essendo l'integrazione garanzia sufficiente di pace e stabilità. Troppo spesso si dimentica che l'Europa ha potuto non occuparsi della sua sicurezza perché vi erano altri ad occuparsene: la NATO i cui soldati, apparati logistici, arsenali (armamenti nucleari inclusi) hanno consentito all'Unione europea di realizzare la sua integrazione nella pace e nella stabilità. Nessuna delle tante realizzazioni del processo di integrazione sarebbe stato possibile senza quell'ombrello protettivo.
Ed è forse questa dimenticanza che spiega - ma non giustifica - la reazione stupita di una parte della politica e della opinione pubblica all'annuncio della decisione dell'Unione europea di volersi dotare di un proprio sistema di difesa e sicurezza. Ma nel momento in cui Trump chiama brutalmente gli europei a occuparsi della loro sicurezza, scelte impegnative non sono più eludibili. Peraltro colpisce il paradosso per cui coloro che denunciano "un'Europa riarmista" sono spesso gli stessi che rifiutano anche un incremento finanziario e operativo dell'impegno europeo nella NATO.
Investire in difesa e sicurezza non è una rinuncia al valore prioritario della pace che resta un irrinunciabile elemento identitario dell'Unione europea. Ma si deve essere consapevoli che la pace non è sicura "in sé", ma se dotata anche di una forza che la tuteli e la difenda quando vi sia chi voglia insidiarla. Ne sono una dimostrazione le missioni internazionali di peacekeeping e di peace-enforcement fondate sull'uso dissuasivo delle forza per interrompere o impedire conflitti. Se alle porte di Srebrenica anziché 300 caschi blu se ne fossero schierati alcune migliaia forse quell'orribile massacro non ci sarebbe stato.
Peraltro l'Unione europea non intende dichiarare guerre, neanche alla Russia, ma ha il dovere di impedire che qualcuno possa insidiare la pace e la stabilità del continente. E il sostegno all'Ucraina aggredita è stato, fin dall'inizio del conflitto, coerente con quell'obiettivo. Ma è bastato che Trump interrompesse per qualche giorno la fornitura di alcuni essenziali strumenti difensivi per vedere Kiev in ginocchio. A riprova che un proprio sistema di sicurezza è oggi una priorità a cui l'Europa non può sottrarsi. Non è un'opzione, ma una inderogabile e stringente necessità. Tra il cinismo di Trump e l'imperialismo di Putin, l'Europa ha il dovere di mettersi al sicuro per garantire democrazia, stato di diritto, libertà individuali e collettive, rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale.
Chi contesta la scelta europea, perché la ritiene troppo timida, invoca la immediata realizzazione di un unico sistema di difesa integrato di cui "l'esercito europeo" è l'icona simbolica. Che con misure di integrazione e armonizzazione si debba dare vita a un sistema europeo di sicurezza che superi la frammentazione in 27 sistemi nazionali è obiettivo giusto e necessario.
Tuttavia l'espressione "esercito europeo" contrapposta agli eserciti nazionali genera un equivoco: il sistema europeo di difesa non disporrà di un esercito proprio, ma sarà incardinato sull'utilizzo di uomini e mezzi messi a disposizione dai paesi dell'UE, sotto un comando unificato, con un'unica regia operativa, con la integrazione dei sistemi di comunicazione e la interoperabilità delle forze attivate. Esattamente come la NATO e l'ONU, che non dispongono di un proprio esercito, ma agiscono con contingenti e strutture conferite dai paesi membri. E dunque gli investimenti che ogni Paese farà - grazie ai maggiori margini di spesa consentiti dalla esclusione del vincolo del Patto di Stabilità - serviranno ad acquisire apparati di cui il sistema europeo di difesa si avvarrà. In altri termini un sistema europeo sarà fondato sulla complementarietà tra strutture europee e strutture nazionali in un processo graduale e progressivo di integrazione. Processo complesso e non breve che è urgente iniziare. E il piano presentato dalla Commissione europea costituisce l'avvio, un "primo passo" a cui molti altri impegnativi dovranno seguire.
Peraltro il Consiglio europeo ha già modificato la proposta iniziale della Commissione, escludendo di attingere risorse dai fondi di coesione e prevedendo uno stanziamento europeo per 150 miliardi finanziati con emissione di bond di debito comune (come accaduto con Next Generation EU) per finanziare la creazione di strutture logistiche e militari europee e la graduale integrazione di apparati nazionali. Gli altri 650 miliardi (che sommati ai 150 cumulano gli 800 cui si parla) sono in realtà una stima presuntiva ottenuta con la proiezione della maggiore spesa di cui ogni Paese potrà beneficiare grazie alla esclusione dei vincoli del Patto di Stabilità alle spese per la difesa. Risorse che dovranno essere prioritariamente utilizzate proprio per standardizzare i sistemi d'arma, integrare i servizi logistici, unificare i sistemi di comunicazione nella direzione di un sistema integrato di difesa.
La costruzione di un sistema europeo di difesa pone altre questioni altrettanto cruciali per la credibilità stessa dell'Unione europea.
Definire le modalità della complementarietà tra sistema europeo e NATO, entro il rilancio del rapporto transatlantico il cui valore strategico va molto al di là della sola dimensione militare.
Realizzare un salto di qualità nella efficacia della politica estera europea, adottando meccanismi decisionali che consentano scelte rapide.
Accompagnare l'investimento in sicurezza con il rilancio dei temi strategici dell'agenda europea: politiche di coesione sociale, riconversione energetica, crescita, innovazione e ricerca, diritti di cittadinanza, politiche migratorie (così come nel dopoguerra la nascita della Nato fu accompagnata dal Piano Marshall per la ricostruzione e lo sviluppo economico e sociale).
E soprattutto mettere in campo le riforme che consentano alla UE di esprimere un un'unicità di comando politico federale, mettendosi nelle condizioni - come ha sollecitato Draghi - di agire come "un unico Stato".
Scelte impegnative che tutte richiedono che i Paesi europei, liberandosi delle loro gelosie nazionali, conferiscano alla UE poteri e strumenti che le consentano di parlare con una sola voce e di agire con una sola mano, facendo cosí sentire e pesare la voce dell'Europa in un mondo investito da rapidi e inediti cambiamenti.

 

Piero Fassino
17 marzo 2025