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MEDIO ORIENTE: AGIRE, PRIMA CHE TUTTO SIA COMPROMESSO
Mentre si muovono primi passi nel percorso di pace in Ucraina - su cui tuttavia grava pesante il rischio di un accordo Trump-Putin che imponga a Kiev una pace ingiusta - in Medio Oriente si sta consumando un nuovo e più atroce capitolo di una guerra che già ha provocato decine di migliaia di vittime e altre ancora ne sta provocando ogni giorno.
La scelta di Nethanyahu di interrompere il cessate il fuoco e riprendere la guerra, evocando anche il permanente controllo israeliano della striscia di Gaza, non solo allontana la ricerca, peraltro faticosa, di una soluzione del conflitto, ma ancor di più rischia di compromettere la sorte degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Così come la destra messianica e più estrema non fa mistero di rifiutare una soluzione di convivenza, rivendicando la annessione definitiva a Israele di Gaza e dei territori della West Bank - non a caso nominati sempre come Giudea e Samaria - al massimo riconoscendo ai palestinesi qualche enclave autogestita. D'altra parte si muovono nella stessa direzione i continui allargamenti degli insediamenti dei coloni in Cisgiordania - giunti a contenere oltre 600.000 persone - e il sostegno che i settori messianici offrono ogni giorno all'aggressività dei coloni più oltranzisti. La denuncia della scelta del governo israeliano non può neanche per un istante mettere in ombra le pesanti responsabilità di Hamas che dal 7 ottobre ad oggi ha proseguito la sua azione militare, senza mai ottemperare alle richieste della comunità internazionale, a partire dalla liberazione degli ostaggi che la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU chiedeva "senza condizioni", mentre da mesi e mesi il percorso di liberazione è sottoposto a un faticoso e snervante negoziato. Così come la arrogante scenografia messa in scena da Hamas a ogni liberazione, con sfrontata esibizione di miliziani armati fino ai denti, non poteva che essere vissuto dalla società israeliana come un ulteriore atto di sfida richiamando le immagini atroci del massacro del 7 ottobre. E onestà vuole che si dica che con troppa passività la comunità internazionale ha tollerato sia le condizioni drammatiche di detenzione degli ostaggi, sia le modalità con cui Hamas ha gestito il negoziato per la loro liberazione, sia le esibizioni di forza di Hamas. L'aggravamento drammatico che si sta delineando rischia perciò di pregiudicare la possibilità stessa di perseguire una soluzione di pace giusta per entrambi i popoli. Lo hanno ben compreso i leader dell'opposizione israeliana - da Golan a Lapid, da Ganz a Libermann - al cui appello hanno risposto con straordinaria mobilitazione centinaia di migliaia di cittadini dando voce a un'Israele democratica che vuole la fine della guerra, una soluzione di pace sicura e giusta e la fine del regime di un governo che anche sul piano interno sta minando profondamente lo stato di diritto imprimendo una deriva illiberale alla democrazia israeliana. E la stessa consapevolezza ha mosso nei giorni scorsi una parte della popolazione palestinese di Gaza, scesa in strada denunciando il potere dispotico di Hamas e la sua responsabilità di aver sottoposto la popolazione palestinese a inenarrabili sofferenze. Voci di pace di entrambi i campi che vanno sostenute dalla comunità internazionale con determinazione e senza ambiguità, a partire dal mettere in campo ogni forma di pressione per ottenere la immediata e incondizionata liberazione degli ostaggi e il ritorno al cessate il fuoco. Così come la possibilità di riaprire un percorso di pace richiede senza ambiguità la esclusione di Hamas. Chi vuole la pace e crede in una soluzione giusta e sicura per entrambi i popoli non può ignorare che il massacro del 7 ottobre e un anno e mezzo di guerra atroce hanno scavato un solco profondo di rancore e sfiducia che solo potrà essere colmato con un'azione che non si rassegni a una guerra infinita e con pazienza e tenacia ricostruisca le condizioni di una convivenza che oggi appare lontana. Istituzioni internazionali, Governi, opinioni pubbliche hanno il dovere di agire e subito, prima che tutto sia irrimediabilmente compromesso.
Piero Fassino
28 marzo 2025
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