QUEGLI INSULTI A LILIANA SEGRE E NOI
Gli insulti indecenti che sono stati rivolti a Liliana Segre hanno suscitato una generale reazione da parte di tutte le forze politiche e di ampia parte di opinione pubblica. Giusto sdegno. La personalità della Senatrice a vita, il rigore e l'equilibrio a cui sempre ispira ogni suo atto, nonché la drammaticità della sua vita e le sofferenze atroci vissute ad Auschwitz, sollecitano in tutti rispetto e riconoscenza.
Tuttavia quella dovuta e giusta solidarietà richiede a tutti coerenza. L'onda brutale di insulti a Liliana Segre è una delle tante manifestazioni di un antiebraismo diffusosi ampiamente in Italia senza che vi si sia opposta una ferma repulsione.
So bene quale è l'argomento che viene utilizzato: quel che succede a Gaza suscita indignazione. Lo capisco, ma è proprio questo argomento equivoco e errato.
Non c'è dubbio che a Gaza si stia consumando una guerra feroce e che il diritto all'autodifesa invocato da Israele all'indomani del massacro del 7 ottobre, e da tutti inizialmente riconosciuto, sia stato trasformato da Nethanyahu nella distruzione sistematica di un intero territorio, sottoponendo un'intera popolazione a continui sfollamenti e privandola di aiuti umanitari essenziali. E allarmano le dichiarazioni di Nethanyahu e di suoi ministri di voler perseguire il controllo diretto di Israele su Gaza e sull'intera Cisgiordania, escludendo qualsiasi ruolo dell'Autorità Nazionale Palestinese e rivendicando esplicitamente la annessione definitiva allo Stato di Israele dei territori della West Bank - non a caso nominati sempre come Giudea e Samaria - al massimo riconoscendo ai palestinesi qualche marginale enclave autogestita. Operazione resa ogni giorno più concreta dai continui allargamenti di insediamenti in Cisgiordania ormai giunti a contenere oltre 600.000 persone. E, dunque, ogni giorno di più, emerge che Nethanyahu persegue la definitiva liquidazione di qualsiasi soluzione della questione palestinese. Obiettivo che spinge il Medio Oriente in una soffocante spirale di reciproche radicalizzazioni che chiudono ogni spazio alla ricerca di una soluzione di pace. Dunque, giusto protestare, e contrastare con fermezza il governo Nethanyahu, come del resto fanno da mesi, e anche nelle ultime settimane, centinaia di migliaia di israeliani nelle piazze di Gerusalemme e Tel Aviv per ottenere il ritorno al cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi e la riapertura di un processo di pace.
Ma quel che non può essere accettato sono le molte ambiguità che caratterizzano in Italia, come in Europa e nel mondo, i movimenti di contestazione della politica di Nethanyahu e di solidarietà con il popolo palestinese.
In primo luogo non vi è condanna di Hamas. Si, il massacro del 7 ottobre è stato esecrato (e come si poteva non farlo?), ma ben presto quella condanna è divenuta una affermazione rituale, mentre nulla si dice sul fatto che da quel massacro ad oggi Hamas ha proseguito la sua azione militare, senza mai ottemperare alle richieste della comunità internazionale, a partire dalla liberazione degli ostaggi che il Consiglio di Sicurezza dell'ONU chiedeva "senza condizioni", mentre da mesi e mesi il percorso di liberazione è sottoposto a un faticoso e snervante negoziato. Così come non vi è stata alcuna protesta per le condizioni drammaticamente disumane di detenzione degli ostaggi. Né ha suscitato rifiuto la arrogante scenografia messa in scena da Hamas a ogni liberazione, con esibizione di miliziani armati fino ai denti, che non poteva che essere vissuta dalla società israeliana come un ulteriore atto di sfida, richiamando le immagini atroci del massacro del 7 ottobre. Ed è sconcertante che non una parola venga detta sulle manifestazioni sorte a Gaza contro Hamas, così come si ignora che Abu Mazen abbia apostrofato Hamas "figli di cani, liberate gli ostaggi e abbandonate Gaza". Anzi, in una parte dei movimenti propalestinesi è venuta accreditandosi la tesi secondo cui Hamas conduce una lotta di "resistenza", con inaccettabili paragoni con la lotta partigiana per la liberazione dal fascismo.
A questa già di per sé pesante contraddizione, se ne è aggiunta un'altra altrettanto inaccettabile. Ed è chiedere ad ogni ebreo di rispondere della politica del governo israeliano, di cui lo si considera complice. Una aberrazione. Perché mai Liliana Segre cittadina italiana e senatrice della Repubblica italiana dovrebbe rispondere delle sciagurate azioni di un governo di un altro Paese? Perché mai ogni ebreo, ovunque viva nel mondo, dovrebbe essere responsabile di politiche che non ha deciso? E quando questo transfer si traduce in slogan quali "morte agli ebrei", "Auschwitz non è bastata", chi può negare di essere di fronte a manifestazioni antisemite.
A questa contraddizione se ne aggiunge infine un'altra ancora: ed è la totale identificazione tra il governo Nethanyahu e la società israeliana: una omologazione del tutto infondata, non applicata a nessun Paese se non a Israele. Dimenticando peraltro che Israele è una democrazia, fondata sullo stato di diritto, con una dialettica tra progressisti e conservatori che proprio in questi mesi ha dato vita a un duro scontro politico che ha diviso la società israeliana. Si dimentica che Israele è il Paese di Amos Oz, David Grossman, Abraham Yehoshua, Eskol Nevo, Edgar Keret, Manuela Dviri, Sarai Shavit e tanti altri intellettuali da sempre impegnati per soluzioni di pace e convivenza tra israeliani e palestinesi. Così come quelle università israeliane che in Italia si vorrebbero boicottare sono il cuore del movimento che si batte contro la torsione autocratica che Nethanyahu cerca di imporre alla democrazia israeliana.
Concludendo, dovere di chi vuole fermare la guerra, vuole la liberazione degli ostaggi e la ripresa di un percorso di pace e convivenza tra israeliani e palestinesi, è sostenere chi in Israele, come in Palestina si batte per quegli obiettivi. Mentre forme di criminalizzazione di un intero popolo e di un intero Stato, non fanno che contribuire ad una radicalizzazione che allontana la pace. E di fronte alle tante manifestazioni antisemite e di odio antiebraico che avvelenano la nostra società la giusta esecrazione non è sufficiente. Serve un'azione di contrasto esplicito, fermo e determinato.
 

Piero Fassino
1 maggio 2025