IL CAMMINO IMPERVIO DELLA PACE
Di fronte alle atrocità delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente, ogni minimo fatto che possa far pensare a un possibile sblocco delle ostilità militari viene guardato con trepidante speranza. E i molti incontri internazionali tra vertici politici che si sono succeduti in queste ultime settimane hanno ulteriormente alimentato le aspettative di una svolta in quei conflitti. Ma il generoso ottimismo della volontà non può offuscare una realtà assai più problematica. Allo stato infatti non si intravedono significative svolte né sul fronte ucraino, né in Medio Oriente. La strada della pace appare ancora molto impervia.
Una soluzione al conflitto russo-ucraino continua ad essere impedita dalle condizioni capestro poste da Mosca: nessun cessate il fuoco temporaneo, annessione dei territori occupati, riduzione a dimensioni simboliche delle strutture ucraine di difesa, rinuncia di Kiev a alleanze non gradite a Mosca, a cui si aggiunge una esplicito rifiuto a riconoscere Zelenski come legittimo interlocutore di un negoziato. Insomma si chiede all'Ucraina una resa incondizionata e l'accettazione di una "sovranità limitata" che Kiev - la vittima dell'aggressione russa - non ritiene di accettare. E la rifiuta l'intera dirigenza ucraina, compresi avversari di Zelenski come l'ex Presidente Poroschenko, possibile candidato alle elezioni presidenziali ucraine.
Peraltro Putin può insistere nelle sue condizioni grazie all'atteggiamento di Trump che, dal giorno del suo insediamento, non ha cessato di manifestare giudizi negativi sulla dirigenza ucraina e di lanciare messaggi largamente concessivi a Mosca. Lo ha fatto con l'obiettivo di spezzare il rapporto che si è venuto creare tra Mosca e Pechino, considerando la priorità americana ridimensionare il ruolo della Cina. Una ragione che in ogni caso non giustifica che si voglia imporre all'Ucraina una pace ingiusta e umiliante. Uno scenario nel quale la principale tutela su cui l'Ucraina può contare viene dall'Europa che dando vita alla "coalizione dei volenterosi" può avere un ruolo decisivo nel garantire la sovranità e l'indipendenza dell'Ucraina.
In ogni caso ad oggi l'interruzione della guerra non c'è, segnata anzi dalla intensificazione dei bombardamenti russi sulle città ucraine. Né si intravede ancora la possibilità di giungere almeno a un cessate il fuoco.
Non minore impasse conosce il conflitto in Medio Oriente, dove il governo Nethanyahu persegue l'obiettivo di una totale eradicazione di Hamas, accompagnata dall'assunzione del controllo diretto sull'intera striscia di Gaza e dal proposito di annettere l'intera Cisgiordania allo Stato di Israele. Obiettivi questi ultimi che, se realizzati, rappresenterebbero la liquidazione di ogni soluzione che riconosca ai palestinesi il diritto ad avere una patria. E per perseguirli Nethanyahu non ha esitato violare continuamente fondamentali diritti umani, travalicando abbondantemente quel diritto all'autodifesa che la comunità internazionale gli aveva riconosciuto. E a Gaza si sta consumando una catastrofe umanitaria che va immediatamente fermata. Per questo è necessario che si mantenga una forte pressione internazionale sul governo israeliano per indurlo a fermare la guerra e a predisporsi ad un percorso politico. Ma anche in questo caso - come nel conflitto ucraino - non gioca un ruolo positivo l'atteggiamento passivo dell'amministrazione Trump che di fatto avalla ogni atto del governo Nethanyahu le cui scelte, peraltro, stanno isolando Israele dal mondo intero e - come ha denunciato Yael Golan, leader dell'opposizione democratica israeliana - stanno mettendo a rischio lo stesso profilo democratico dello Stato israeliano.
Importante perciò sostenere la grande e continua mobilitazione di centinaia di migliaia di cittadini israeliani che contestano l'avventurismo di Nethanyahu.
Non minori responsabilità ha Hamas che dopo il massacro del 7 ottobre, ha continuato la sua attività terroristica, trasformando Gaza in un gigantesco scudo umano e esponendo la popolazione palestinese a enormi sofferenze, contro cui nelle ultime settimane si sono ribellati gli stessi gazawi dando luogo a manifestazioni di protesta. Decisivo dunque è mantenere una forte pressione su entrambi i contendenti: sul governo Nethanyahu per una sospensione delle operazioni militari e l'inoltro senza limiti e in dimensioni adeguate degli aiuti necessari alla vita della popolazione palestinese. E con la stessa determinazione occorre una forte pressione su Hamas perché liberi senza condizioni gli ostaggi, cessi le sue attività terroristiche e - come hanno chiesto Abu Mazen e la stessa popolazione di Gaza - si ritragga da ogni responsabilità, consentendo la formazione di un governo indipendente di Gaza, collegato all'ANP.
Naturalmente resta allo stato ancora irrisolta la riapertura di un cammino verso una pace condivisa. Il massacro del 7 ottobre ha divelto nella società israeliana la fiducia nella possibilità di una convivenza con i palestinesi. E diciotto mesi di guerra atroce a Gaza hanno divelto la fiducia dei palestinesi di vedere finalmente riconosciuti i propri diritti. E oggi la soluzione "2 Popoli, 2 Stati" appare lontana. Ad alcuni addirittura impraticabile. Tuttavia un'altra strada non c'è: solo la convivenza di due Stati è in grado di assicurare diritti e sicurezza a israeliani e palestinesi. Ma per realizzarla è necessario ricostruire quello zoccolo minimo di fiducia indispensabile per qualsiasi pace. E qui alcuni attori internazionali possono giocare un ruolo importante a partire dall'Arabia Saudita che, per il ruolo leader del mondo sunnita, può essere in grado di offrire ai palestinesi la garanzia che avranno un loro Stato e a Israele che sua esistenza e la sua sicurezza non saranno più messe in discussione. Ed è responsabilità dei principali player internazionali, dagli Stati Uniti all'Europa alle Nazioni Unite, muoversi nella stessa direzione.
 

Piero Fassino
24 maggio 2025