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OLTRE LA PAURA DELL'ABISSO
Ottant'anni di pace avevano abituato l'Europa ad una condizione di stabilità e sicurezza che pareva irreversibile. E anzi il progetto di integrazione europea aveva consentito al continente - almeno nella sua parte democratica - di mettere fine a secoli di sanguinosi e devastanti conflitti. Né la guerra balcanica degli anni '90 - ancorché nel cuore del continente - aveva scalfito la certezza che la guerra non avrebbe più investito l'Europa. Anzi, quel conflitto - come altri che insanguinarono il mondo - vennero derubricati a "conflitti locali" per sottolineare che, distanti o vicini, in ogni caso non riguardavano l'Europa.
Non era così e il terribile attentato alle Torri gemelle di New York e la successiva guerra in Afghanistan ci misero di fronte ad una cruda verità: non esistono conflitti locali, ma conflitti che ovunque si manifestino mettono a rischio la sicurezza del mondo, anche la nostra. Oggi non solo ciò è tanto più vero, ma siamo di fronte a un ulteriore salto di qualità. Con le guerre alle porte di casa tutti avvertiamo che il mondo può precipitare in un abisso di caos e di dolore e ognuno si interroga sul futuro proprio e dei propri figli. È l'intero sistema delle relazioni internazionali e della sua governance a essere travolto. Messe in mora le istituzioni sovranazionali e il sistema multilaterale, vanificate le strade negoziali, violati principi di convivenza e diritti umani fino ad oggi universalmente riconosciuti, si afferma come unica regola l'uso della forza - militare o economica - che consente a chi ne ha di più di sentirsi in diritto di violare ogni regola e ogni principio pur di perseguire i propri obiettivi. Trump lo afferma senza remore. Ma molti altri si sono messi sulla stessa strada. Sì accresce così una condizione di anarchia internazionale in cui nessuno è più certo del proprio destino e le sorti del mondo dipendono dall'arbitrio di pochi grandi Paesi. Ma non è l'unico terremoto che investe la nostra vita. Se le guerre ne sono la più brutale e feroce manifestazione, altri fenomeni stanno cambiando radicalmente il mondo in cui fino ad oggi abbiamo vissuto. Il caldo equatoriale che sta investendo le nostre città, così come le sempre più frequenti precipitazioni alluvionali sono lì a dirci che il cambiamento climatico non è argomento elitario, ma concreto e irreversibile mutamento dell'habitat naturale e della vivibilità del pianeta che impongono un nuovo paradigma del rapporto uomo-natura. Certezza del lavoro e certezza del reddito, per lungo periodo garanzie di progresso sociale e di uguaglianza, sono messi in causa da una globalizzazione che, se ha consentito a enormi moltitudini di altri continenti di approdare a consumi e a condizioni di vita a lungo negate, si è tradotto spesso nei paesi industriali in riduzione di certezze, impoverimento di vasti strati sociali, restrizione di diritti e opportunità, espansione di precarietà e insicurezze. Se per lungo periodo abbiamo guardato ad ogni scoperta e innovazione come manifestazione positiva dell'ingegno umano e fattore di progresso individuale e collettivo, le nuove frontiere della tecnologia e dell'intelligenza artificiale pongono quesiti inediti sul loro impatto e la loro governabilità. Le conquiste civili e sociali del secolo che abbiamo alle spalle - la democrazia e i suoi valori liberali, la costituzionalizzazione del mercato, la affermazione dei diritti del lavoro, il welfare e le sue politiche redistributive, il riconoscimento delle differenze di genere - sono oggi spesso insidiate da nuove forme di deregulation, regressione culturale e corporativismo. Per ottant'anni abbiamo affidato la stabilità e il benessere dell'Europa ad un processo di integrazione oggi messo in discussione dal diffondersi di sovranismo e neo nazionalismo che raccolgono consenso cavalcando le paure e le angosce di società insicure. E per ottant'anni abbiamo delegato ad altri - gli Stati Uniti - quella sicurezza che oggi è messa in causa da conflitti alle porte di casa, chiamando l'Europa ad assumersi le sue responsabilità. Insomma: se non vi è mai una fine della storia, certo è finito un ciclo economico, politico, sociale. E se il '900 è stato il secolo del progresso, della democrazia, del diritto, non può non segnare una cesura il fatto che il primo quarto di questo secolo sia segnato dal diffondersi di forme politiche e sociali che quei valori li contestano apertamente. Radicali mutamenti che obbligano la sinistra e i progressisti interrogarsi su come restituire credibilità e attualità ai propri valori di progresso, libertà, uguaglianza. Valori che non sono usurati dal trascorrere del tempo, perché anzi il tempo lo attraversano. Ma le modalità con cui quei valori vengono vissuti e fatti vivere, quelli sí devono essere in sintonia con il tempo e i cambiamenti che segnano la vita del mondo. È questa la sfida che chiama la sinistra ad un salto di qualità, andando oltre la denuncia pur giusta dei rischi del presente per proporre un progetto capace di liberare la società dalla paura dell’abisso e di costruire un tempo di speranza, diritti e dignità.
Piero Fassino
2 luglio 2025
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