IL CORAGGIO DI SFIDE DIFFICILI
La ripresa autunnale si presenta densa di sfide impegnative.
Innanzi tutto sul fronte internazionale. Le devastanti guerre in Ucraina e in Medio Oriente proseguono con il loro carico di lutti, sofferenze e devastazioni senza che gli appelli lanciati dal Papa, da istituzioni internazionali, da ogni governo e da vaste opinioni pubbliche, abbia indotto gli aggressori a fermarsi. E tuttavia non ci si può rassegnare a guerre infinite e serve un salto di impegno e mobilitazione per fermare e sostenere soluzioni di pace giuste e sicure fondate su negoziati. Vale per l'Ucraina sottoposta alla continua aggressione di Putin, che non ha esitato a violare anche la sovranità aerea di Estonia, Romania, Polonia, Danimarca.
Vale per Gaza dove la brutale determinazione di Nethanyahu e della destra israeliana nel perseguire una strategia di distruzione ha causato una quantità enorme di vittime innocenti e isola ogni giorno di più Israele nel mondo. Non si possono ignorare mai responsabilità enormi di Hamas - a partire dalla prigionia disumana degli ostaggi - ma questo non può tradursi nella punizione collettiva a cui da mesi sono sottoposti gli abitanti di Gaza. La reazione democratica di tanta parte della società israeliana dimostra quanto contestata sia la politica di Nethanyahu e come la pace non può essere fondata sulla morte e sulla sofferenza di innocenti, ma soltanto su una convivenza negoziata e condivisa fondata sul principio 2 popoli/2 Stati.
Sul piano internazionale altre sfide ci attendono, a partire dalla crisi della governance della globalizzazione minata nelle sue fondamenta dalla politica di Trump sui dazi e sulla destabilizzazione delle istituzioni internazionali - esposta con brutalità dal Presidente americano all'Assemblea generale dell'ONU - provocando volontariamente una condizione di anarchia internazionale che favorisce l'emergere di forme autocratiche del potere a cui non pochi paesi sono tentati.
Sfide che impongono all'Unione Europea un radicale cambio di passo che le consenta di non essere ai margini degli equilibri internazionali, ma di concorrere alla costruzione di un ordine internazionale più giusto, più democratico, più libero. Mario Draghi in queste settimane ha ancora una volta sollecitato i dirigenti europei a uscire da una passività esiziale, mettendo da parte ritrosie e gelosie nazionali per misurarsi con coraggio con sfide impegnative ineludibili. Certo, non è agevole rilanciare politiche di integrazione in un contesto europeo condizionato da forze sovraniste e nazionaliste che governano, direttamente o indirettamente, la metà dei 27 paesi dell'Unione. Ma rinunciare ad un'Europa coesa, integrata e forte, significherebbe condannare il continente al declino. Ed è certo motivo di preoccupazione che l'Italia - paese fondatore dell'Unione europea - sia oggi tra i Paesi che manifestano euroscetticismo e freddezza verso le politiche di integrazione.
Non minori sfide ci attendono sul piano nazionale.
Favorita dalla diffusa instabilità di molti Paesi europei e da una forte aggressività comunicativa, il governo Meloni accredita un'immagine sicura e solida di sé. Ma se si guarda alle politiche concrete il bilancio è assai meno lusinghiero. L'andamento economico segnala una crescita minima senza che vi siano politiche di sostegno alle imprese e ai consumi. Tant'è che non c'è economista - di qualsiasi scuola di pensiero - che non denunci la inquietante espansione di famiglie e persone in condizioni di basso reddito. Sul piano fiscale mentre la pressione sui redditi cresce ancora, si attivano disordinate e clientelari sanatorie accrescendo disparita contributive e ingiustizie sociali. La sicurezza dei cittadini - tema a cui ogni forza politica deve dedicare la massima attenzione - è affrontata in modo tanto demagogico, quanto inefficace. E sull'immigrazione è sotto gli occhi di tutti il fallimento del modello Albania, mentre non c'è alcuna seria politica di accoglienza e integrazione di flussi migratori nel momento in cui la stessa Confindustria lamenta centinaia di migliaia di posti di lavori vacanti per insufficienza di risorse umane. E analoga situazione critica si manifesta ogni giorno nella sanità dove non c'è Regione che non sia in crescente difficoltà a corrispondere alla domanda di cura dei cittadini. Come si vede molti sono i nodi non sciolti.
Intendiamoci: governare è sempre, per chiunque, un esercizio difficile. Ma proprio per questo occorre farlo con responsabilità e serietà, sottraendosi alla scorciatoia troppo facile di illudere i cittadini con la demagogia e la propaganda. Non lo deve fare chi governa. E non lo deve fare chi sta all'opposizione che ha il dovere di elaborare e avanzare proposte convincenti in cui i cittadini si riconoscano. Ed è questo il dovere ineludibile a cui deve attendere chi vuole costruire una alternativa di governo credibile.
 

Piero Fassino
25 settembre 2025