UNA DOMANDA DI GIUSTIZIA SOCIALE
Che un candidato sostenuto dagli elettori democratici sarebbe stato eletto Sindaco di New York era prevedibile. La città della Mela da sempre è la culla del pensiero liberal e democratico americano. Basterà ricordare che a New York in tutte le elezioni presidenziali degli ultimi trent'anni i candidati democratici hanno sempre raccolto tra il 70 e l'80% dei voti. Certo, New York non è l'America, tant'è che dal New Jersey alla Virginia, da Detroit a Cincinnati si son affermati i candidati democratici più moderati con profili molto diversi dalla radicalità del nuovo Sindaco newyorkese.
E tuttavia anche a New York non era scontato che raccogliesse un consenso maggioritario un giovane trentenne, nato in Uganda da madre Hindu e padre sciita, musulmano, che si dichiara apertamente socialista. Certo l'America è la terra del meeting pot, ma è anche una società percorsa da molte discriminazioni e disuguaglianze.
Le ragioni di un voto sono sempre certamente molteplici, e certamente nelle scelte degli elettori americani c'è anche un segnale forte di rifiuto delle politiche di Trump e del suo modo di guidare il Paese. Rifiuto manifestatosi in modo impressionante nella enorme partecipazione popolare alle manifestazioni "No King".
Ma sopratutto dal voto emerge con chiarezza una domanda di equità e di giustizia sociale di fronte alle troppe iniquità e divaricazioni di reddito e di condizioni di vita che percorrono la società americana. Mamdani si è presentato con un programma radical: nidi e asili gratuiti e così i trasporti, case popolari e affitti calmierati, supermercati comunali a prezzi controllati, riqualificazione dei ghetti, sicurezza fondata sull'inclusione e non sulla sola repressione. Proposte che hanno raccolto la domanda di centinaia di famiglie - anche di ceto medio - che hanno visto loro vita segnata da restrizione di reddito, precarietà quotidiana, costi abitativi insostenibili, inaccessibilità di servizi.
Uno scenario che in realtà non riguarda solo New York. Se un tema percorre questo tempo dell'economia globale è, in ogni Paese, l'enorme divaricazione di ricchezze e di opportunità tra una ristretta élite che gode di fortune immense e una vastissima quantità di cittadini che ha visto la propria vita divenire più incerta e più insicura. Ed è così che sono maturati fenomeni diversi - dall'astensione elettorale alla radicalizzazione - che tutte riconducono a profondi sentimenti di inquietudine e di insicurezza.
Se si osservano le dinamiche elettorali si può constatare il diffondersi di radicalizzazione non solo di domanda, ma anche di offerta politica. Nel voto argentino a Milei così come nei consensi raccolti dalla destra nazionalista in molti paesi d'Europa, c'è una domanda di protezione. Ed è facile gioco per quelle forze politiche indicare "nemici" - lo Stato, l'Europa, gli immigrati, la concorrenza cinese - da cui proteggersi. Che siano messaggi ingannevoli non garantisce che non vengano ascoltati e creduti.
Sono dinamiche che investono anche l'Italia. Pur in un contesto europeo che offre certo sistemi sociali inesistenti in molte parti del mondo, anche nel nostro Paese tuttavia la vita di milioni di famiglie si è fatta più dura. E anche in Italia sono cresciute iniquità, disuguaglianze e ingiustizie sociali, solo in parte attenuate dalla supplenza data dai risparmi di casa e dal welfare familiare.
Si pone insomma anche nel nostro Paese un tema di protezione che per essere garantita richiede crescita economica ed equità sociale. Ed è precisamente questo il nodo italiano irrisolto. La produzione industriale è ferma da ormai due anni, il PIL (che misura la crescita di un Paese) è poco sopra lo 0, soltanto le risorse europee del PNRR - che in ogni caso entro il 2026 si esauriranno - hanno consentito di evitare la recessione.
Uno scenario che ha pesanti conseguenze sociali. Salari e stipendi sono a livelli inferiori agli anni preCovid e l'inflazione ha allargato la forbice tra redditi nominali e redditi reali, aggravando l'iniquità di un fiscal drag che erode la effettiva capacità di spesa delle famiglie. L'80% dei lavoratori pubblici e privati a tempo indeterminato ha un salario netto mensile che sta in una forbice tra 1200 e 1600 euro. E per chi è a tempo determinato - in gran maggioranza giovani - quella forbice si restringe a 800/1200 euro mese. Redditi su cui il costo degli affitti grava per almeno un terzo. La penuria di servizi per l'infanzia solo in parte può essere sopperita dai sacrifici familiari (le mamme che rinunciano al lavoro, i nonni che si prendono cura dei nipoti). Dicono le rilevazioni statistiche che almeno 6 milioni di cittadini non sono in grado di accedere alle prestazioni sanitarie di cui hanno necessità. E così le persone più vulnerabili, anziché essere sostenute, vengono lasciate in balia della loro fragilità.
Di tutto ciò è rappresentazione una legge di bilancio presentata dal governo Meloni che riduce voci di spesa sociale, taglia risorse ai Comuni, introduce facilitazioni fiscali di cui beneficiano sopratutto i redditi medio-alti, senza peraltro stanziare risorse significative a sostegno degli investimenti, della crescita e della competitività delle imprese.
Insomma: anche in Italia si manifesta una domanda di equità, di crescita e di protezione sociale a cui la politica ha il dovere di rispondere. Senza demagogia, ma con la consapevolezza che occorre restituire alle persone speranza e certezze di vita e che solo una società che combatte e riduce le disuguaglianze può garantire il futuro ai suoi figli.
 

Piero Fassino
8 novembre 2025