GRAZIE PRESIDENTE! GRAZIE GIORGIO!
La storia della politica italiana, della sinistra e del Partito Comunista Italiano non sarebbe stata la stessa senza la presenza, il pensiero, l’azione di Giorgio Napolitano protagonista per oltre mezzo secolo di ogni passaggio della vita della Repubblica e dell’Italia.

Nato e cresciuto nella Napoli segnata dal pensiero di Benedetto Croce, si avvicina giovanissimo al Partito Comunista a cui si iscrive all’indomani della guerra, assumendo presto incarichi di direzione. Appartiene a quella nuova generazione su cui Togliatti punta per costruire il “partito nuovo” che non a caso da Partito Comunista d’Italia assume la nuova denominazione di Partito Comunista Italiano a segnare il radicamento del partito nella storia e nella identità della nazione.

A partire dall’VIII Congresso del Partito, entra negli organismi nazionali, in un percorso politico che lo vedrà essere una delle personalità più autorevoli e riconosciute del PCI. Nel 1966 è uno dei protagonisti dell’XI congresso, chiamato a definire identità e strategia del partito dopo la morte di Togliatti. Napolitano, insieme a Giorgio Amendola, rappresenta la posizione più istituzionale e di unità riformista a cui si contrappone la posizione più movimentista guidata da Pietro Ingrao. Dal confronto uscirà consolidata la posizione mediana e centrista di Longo e Berlinguer, ma la dialettica Napolitano-Ingrao continuerà a segnare a lungo il PCI e la sua vita interna.

Pur con un profilo diverso da quello di Enrico Berlinguer, Napolitano contribuisce in modo decisivo alle svolte che il Segretario imprime al PCI: il riconoscimento della NATO, la centralità dell’Unione europea, la rottura con Mosca, l’avvicinamento alla socialdemocrazia europea. Ognuna di queste scelte porta l’impronta di Giorgio Napolitano che anzi quelle scelte sollecitava da tempo. Tant’è che per lui è naturale sostenere la svolta di Achille Occhetto e la fondazione del Partito Democratico della Sinistra. Determinante il suo impegno per l’immediata adesione del nuovo partito alla Internazionale Socialista, che nell’aprile ‘91, poche settimane dopo la nascita del PDS, proprio lui e io insieme, formalizzammo in un bellissimo incontro con Willy Brandt a Brema.

Come responsabile per la politica estera Napolitano sviluppa per anni una vastissima rete di relazioni internazionali ad altissimo livello, aprendo il PCI al confronto con partiti, movimenti, culture di ogni continente. Innanzi tutto con la socialdemocrazia europea con cui Napolitano stabilisce un’intensa collaborazione relazione, divenendo interlocutore costante dei principali leader socialisti, da Brandt a Palme, da Mitterrand a Gonzales, da Kinnock a Soares. E in questa tessitura promuove l’assunzione dell’Europa e dell’europeismo come una priorità strategica del PCI, coltivando strette relazioni con Altiero Spinelli e Jacques Delors e contribuendo da Presidente della Commissione Istituzionale del Parlamento europeo a far avanzare il processo di integrazione comunitaria.

Napolitano è anche il primo dirigente comunista ad essere invitato ufficialmente negli Stati Uniti in una missione di altissimo livello in cui membri del governo americano, esponenti del Congresso, accademici, think tank hanno l’occasione di conoscere il PCI e comprendere l’originalità di un partito che, pur chiamandosi comunista, esprime un pensiero e una cultura democratica del tutto lontani dal profilo dei partiti comunisti. Napolitano è anche il primo dirigente PCI a visitare Israele, superando la rottura consumatasi con la sinistra nelle guerre del ‘67 e del ‘73. Il rapporto con Shimon Peres e i principali dirigenti laburisti consente al PCI di essere l’unico tra i partiti comunisti a stabilire un forte legame con il mondo ebraico. E così altrettanto prezioso è la paziente tessitura di rapporti con i principali esponenti del dissenso nel campo comunista, da Dubcek ad Havel a Geremek. Relazioni che lo portano naturalmente a guardare con simpatia al progetto innovatore di Gorbaciov.

Legato a Giorgio Amendola, Napolitano diviene il riferimento di quanti nel PCI coltivano un’ispirazione riformista, pur se a quella parola - bandita per un pregiudizio ideologico - si preferisce il sinonimo “migliorista”. Insieme a Gerardo Chiaromonte, Paolo Bufalini, Edoardo Perna, Emanuele Macaluso, Gianni Cervetti, Luciano Lama, Nilde Iotti, Napolitano da un contributo determinante a quella evoluzione culturale e politica che fa acquisire al PCI una cultura di governo e lo ancora saldamente ai valori dell’Europa e dell’occidente. Convinto sostenitore dell’unità delle forze riformiste intesse una costante interlocuzione con i dirigenti del Partito Socialista, vivendo con sofferenza la rottura degli anni ‘80. Anche se proprio questo suo profilo riformista porta il gruppo dirigente del partito a preferirgli Enrico Berlinguer nella successione a Luigi Longo.

Tuttavia pur con un rapporto dialettico e non sempre consonante, Berlinguer non ebbe dubbi nel conferire a Napolitano incarichi di grande rilievo: per molti anni membro della segreteria nazionale - il vero sancta sanctorum del partito - e via via responsabile culturale, responsabile per il Mezzogiorno, responsabile economico e soprattutto regista autorevolissimo delle relazioni internazionali del partito. Napolitano sostiene le principali scelte di innovazione di Berlinguer - compresa la strategia della solidarietà nazionale - pur non celando la sua preoccupazione per una evocazione della questione morale che gli appare esposta al rischio di settarismo e moralismo.

Peraltro l’autorevolezza di Napolitano si afferma nell’intero sistema politico e il suo contributo alla vita istituzionale lo vede protagonista. Deputato ininterrottamente per più di quarant’anni, Presidente del Gruppo alla Camera dei Deputati, membro del Parlamento europeo e Presidente della sua Commissione Istituzionale, Presidente della Camera, Senatore a vita e infine Presidente della Repubblica, Napolitano ricopre ciascuno di questi incarichi con rigore istituzionale e rispetto della Costituzione, dei suoi valori e dei suoi dettami, custode scrupoloso delle regole della democrazia parlamentare. Rigore a cui in particolare si ispira nella Presidenza della Repubblica, a cui viene eletto nel 2006 - primo e unico comunista ad accedere alla suprema magistratura dello Stato - con riconoscimento di tutto il Parlamento, anche di chi pure non lo vota. Un’elezione che segna il superamento della conventio ad excludendum che a lungo aveva inibito al PCI di assumere incarichi apicali e rappresenta il pieno riconoscimento del ruolo dei comunisti italiani nella conquista e costruzione della democrazia, nella scrittura della Costituzione e nell’avvento della Repubblica.

Come tutti i Presidenti della Repubblica, da Pertini a Scalfaro a Ciampi fino a Mattarella, anche Napolitano è punto di certezza, sempre attenendosi rigorosamente alle prerogative del Capo dello Stato. Peraltro esercita la funzione presidenziale in anni turbolenti di crisi economica, di crisi del sistema politico e di accentuata sfiducia di una parte dell’opinione pubblica nei confronti dei partiti. E in quello scenario segnato da inquietudini e paure, Napolitano è, non solo per la politica, ma per la società italiana e per la comunità internazionale un punto di garanzia. Vive quegli anni con sofferenza, fortemente irritato dalla incapacità del sistema politico di mettere in campo le riforme necessarie a riconquistare la fiducia dei cittadini. E vive con sincera tensione la sua rielezione a cui si piega per non lasciare il Paese in un drammatico vuoto istituzionale, non esitando a rivolgere al Parlamento e alle forze politiche uno sferzante richiamo ad essere all’altezza delle loro responsabilità. Richiamo che continuerà a indirizzare alla politica anche dopo la conclusione del mandato presidenziale.

Alle doti di uomo politico di eccezione spessore si univa un profilo umano e culturale altrettanto denso. Raffinato intellettuale coltiva fino alla fine le giovanili passioni per il teatro, il cinema, la musica classica, intessendo interlocuzione costante con i principali esponenti della cultura italiana.
Di una vita così intensa rende ampia testimonianza la sua copiosa produzione di conferenze, saggi, libri.

Ho avuto la fortuna di una lunga e intensa frequentazione con Giorgio. Ci siamo conosciuti quando negli anni ‘70 inizio a dirigere il partito a Torino e poi dalla metà degli anni ‘80 in poi quando assumo incarichi nazionali. Ho collaborato tantissimo tempo con lui, nei molti anni di mio impegno sulla politica estera e poi da Segretario dei DS. E sono orgoglioso di aver promosso e guidato la sua elezione a Presidente della Repubblica. Custodisco tantissimi ricordi di mille momenti di impegno comune. Il suo rigore, la puntigliosa precisione, la profondità del suo pensiero, la coerenza del suo agire, la severità dei suoi richiami sono stati per me una fonte inesauribile di insegnamenti e conoscenze. Tra noi si era creato un rapporto intenso di stima e amicizia e Giorgio è stato un riferimento costante del mio impegno politico e lo considero uno dei miei padri politici. Come del resto, penso di poter dire che lui mi considerasse un suo affezionato “discepolo”.

E oggi nel momento del distacco, con emozione e nostalgia gli rivolgo un ultimo saluto pieno di affetto e di gratitudine. Grazie Presidente! Grazie Giorgio!
 

Piero Fassino
23 settembre 2023